Il giorno della civetta by Leonardo Sciascia

Il giorno della civetta by Leonardo Sciascia

autore:Leonardo Sciascia [Sciascia, Leonardo]
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2011-12-15T08:24:23+00:00


e subito incuriosito il capitano gli chiese il significato.

Il brigadiere tradusse «Ed il cucco disse ai propri figli: al chiarchiaro ci incontreremo tutti» ed aggiunse che forse voleva dire ci incontreremo tutti nella morte, l’immagine del chiarchiaro, chi sa perché, diventata idea della morte. Il capitano capiva benissimo perché: e febbrilmente ebbe visione di un fitto raduno di uccelli not-turni nel chiarchiaro, un cieco sbattere di voli nell’opaca luce dell’ora; e gli pareva che il senso della morte non si potesse dare in immagine più di questa paurosa.

Avevano lasciato l’automobile sulla strada, ed ora si avvicinavano al chiarchiaro per un viottolo stretto e fangoso. Sul chiarchiaro si vedevano i carabinieri muoversi, e forse c’era anche qualche contadino che aiutava.

Ad un certo punto il viottolo finiva in una masseria: e bisognava attraversare i campi seminati per giungere dove il maresciallo di S., ora lo si distingueva benissimo, stava gesticolante a dirigere la ricerca.

Quando furono a tiro di voce il maresciallo gridò «signor capitano, c’è: sarà un po’ difficile tirarlo su, ma c’è» con una esultanza spropositata al ritrovamento di un cadavere. Ma questo è il mestiere: e il rinvenimento di un morto ammazzato segnava, in quel caso, soddisfazione e trionfo.

C’era: in fondo a un crepaccio di nove metri, già misurato da una corda cui era stata legata, perché scendesse a piombo, una pietra. La luce delle torce elettriche, in-trigata dai cespugli che venivano fuori dalle pareti del crepaccio, batteva appena sul fondo. Ma veniva su, inequivocabile, il sentore del disfacimento. Un contadino si era offerto, con grande sollievo dei carabinieri, che temevano dovesse toccare a uno di loro, di scendere giù, legato a una corda, e di attaccare il cadavere a diversi capi di corda, in modo che lo tirassero su con relativa facilità. Ci volevano molte corde: e le aspettavano dal paese, dove un carabiniere era andato a prenderle.

Il capitano tornò, attraverso i seminati, alla masseria da dove cominciava il viottolo. Pareva abbandonata. Ma girando intorno, dal lato opposto a quello che guardava verso il chiarchiaro, un cane improvvisamente scattò nel raggio che la corda che lo legava ad un albero gli consentiva: restò come sospeso al collare che lo soffocava, rabbiosamente abbaiando. Era un bel bastardo, di pelo marrone e con piccole mezze-lune viola sugli occhi gialli. Un vecchio venne fuori dalla stalla ad acquietarlo «tie’, Barruggieddu, tie’,: buono, stai buono» poi al capitano disse «baciolemani».

Il capitano si avvicinò al cane per accarezzarlo.

«No» disse il vecchio allarmato «è cattivo: una persona che non conosce, magari prima si fa toccare, la fa assicurare: e poi morde… È cattivo quanto un diavolo».

«E come si chiama?» domandò il capitano, incuriosito dallo strano nome che il vecchio aveva pronunciato per acquietarlo.

« Barruggieddu si chiama» disse il vecchio.

«E che vuol dire?» domandò il capitano.

«Vuol dire uno che è cattivo» disse il vecchio.

«Mai sentito» disse il brigadiere. E in dialetto chiese altre spiegazioni al vecchio. Il vecchio disse che forse il nome giusto era Barricieddu, o forse Bargieddu: ma in ogni caso significava malvagità, la



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